I SOFISTI
Il termine "sofisti" nell'antichità significava letteralmente "sapientissimo".
Mentre solitamente i filosofi cercavano di risolvere le grandi questioni, i sofisti si concentrarono sull'uomo e le sue capacità. Infatti avevano lo scopo si trasmettere il loro sapere agli uomini interessati al successo politico e alla riuscita individuale. I sofisti fornivano una formazione legata alle competenze retoriche e linguistiche utili per affrontare le nuove esigenze della vita democratica.
I sofisti possono essere considerati i primi insegnanti a pagamento della storia. In Grecia non mancava la consuetudini di pagare gli intellettuali: i medici e i poeti, infatti, erano remunerati per la loro arte, ma non vi era un'analogia abitudine.
Con i sofisti l'esercizio del sapere diventa un mestiere, un lavoro a pagamento che essi esercitano spostandosi da un luogo all'altro in cerca di discepoli, circostanza che tra l'altro consente loro di acquisire una mentalità aperta e cosmopolita, rendendoli consapevoli della molteplicità dei costumi e delle credenze delle varie civiltà.
I sofisti erano visti in malo modo dai filosofi antecedenti (Platone e Aristotele), perché insegnavano ad imbrogliare le persone con le parole.
Il motivo della loro avversione può essere imputato al fatto che essi si confrontarono in particolare con i pensatori dell'ultima fase della sofistica, senza dubbio meno originali dei loro maestri. Tale valutazione ha fatto sì che le opere dei sofisti non fossero tenute in considerazione, e dunque non venissero né trascritte né conservate. Non ci resta pertanto nessuna opera integra e possiamo fare riferimento solo a pochi frammenti e alla testimonianza platonica.
I sofisti si muovono nel fecondo contesto culturale dell'Atene del V secolo; un ambiente antitradizionalista e critico, aperto alla discussione e al dibattito, di cui essi si fanno interpreti esemplari esprimendo un'inedita libertà di spirito e un'attitudine a utilizzare in modo spregiudicato la ragione in tutti gli ambiti.
Il loro fine principale è quello del sapere, inteso come unico fondamento della virtù. Non della virtù guerriera, ma una virtù adatta al nuovo clima culturale e al nuovo ambiente cittadino caratterizzato dalla democrazia. La nuova virtù coincideva essenzialmente con la capacità di vivere in società, di saper partecipare ai pubblici dibattiti, di essere in grado di convincere gli altri della propria idea, di assumere decisioni rapide e condivisibili. Una virtù, dunque, che da una parte comportava il confronto civile e politico e, dall'altra, la padronanza ampia e sicura del linguaggio e della parola, strumenti essenziali.
Mentre solitamente i filosofi cercavano di risolvere le grandi questioni, i sofisti si concentrarono sull'uomo e le sue capacità. Infatti avevano lo scopo si trasmettere il loro sapere agli uomini interessati al successo politico e alla riuscita individuale. I sofisti fornivano una formazione legata alle competenze retoriche e linguistiche utili per affrontare le nuove esigenze della vita democratica.
I sofisti possono essere considerati i primi insegnanti a pagamento della storia. In Grecia non mancava la consuetudini di pagare gli intellettuali: i medici e i poeti, infatti, erano remunerati per la loro arte, ma non vi era un'analogia abitudine.
Con i sofisti l'esercizio del sapere diventa un mestiere, un lavoro a pagamento che essi esercitano spostandosi da un luogo all'altro in cerca di discepoli, circostanza che tra l'altro consente loro di acquisire una mentalità aperta e cosmopolita, rendendoli consapevoli della molteplicità dei costumi e delle credenze delle varie civiltà.
I sofisti erano visti in malo modo dai filosofi antecedenti (Platone e Aristotele), perché insegnavano ad imbrogliare le persone con le parole.
Il motivo della loro avversione può essere imputato al fatto che essi si confrontarono in particolare con i pensatori dell'ultima fase della sofistica, senza dubbio meno originali dei loro maestri. Tale valutazione ha fatto sì che le opere dei sofisti non fossero tenute in considerazione, e dunque non venissero né trascritte né conservate. Non ci resta pertanto nessuna opera integra e possiamo fare riferimento solo a pochi frammenti e alla testimonianza platonica.
I sofisti si muovono nel fecondo contesto culturale dell'Atene del V secolo; un ambiente antitradizionalista e critico, aperto alla discussione e al dibattito, di cui essi si fanno interpreti esemplari esprimendo un'inedita libertà di spirito e un'attitudine a utilizzare in modo spregiudicato la ragione in tutti gli ambiti.
Il loro fine principale è quello del sapere, inteso come unico fondamento della virtù. Non della virtù guerriera, ma una virtù adatta al nuovo clima culturale e al nuovo ambiente cittadino caratterizzato dalla democrazia. La nuova virtù coincideva essenzialmente con la capacità di vivere in società, di saper partecipare ai pubblici dibattiti, di essere in grado di convincere gli altri della propria idea, di assumere decisioni rapide e condivisibili. Una virtù, dunque, che da una parte comportava il confronto civile e politico e, dall'altra, la padronanza ampia e sicura del linguaggio e della parola, strumenti essenziali.
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